Questo post è apparso sulla rivista Direzione del Personale – AIDP – nel 2016.
Ecco cosa mi ha scritto ieri un cliente:
“Ho la netta sensazione che ora si stia arrivando ad un punto di rottura. Siamo misurati e valutati in tutto, la pressione è elevatissima e vedo che i nostri capi non sono messi meglio. Il clima è di stress, arrivo addirittura a pensare che questa pressione abbia cambiato il carattere delle persone. Manager affabili quando sono entrati ora sembrano totalmente diversi: arroganti, esigenti, maleducati, si sottraggono a chiarezza e risposte. Si percepisce la paura, la paura di sbagliare, la paura di provare, di prendersi responsabilità, la paura anche a far di più del proprio pezzo… “
QUELLA SUBDOLA E APPICCICOSA SENSAZIONE CHE ANNEBBIA LA MENTE E IRRIGIDISCE IL CORPO
A volte è tangibile, più frequentemente non è semplice riconoscerla: si avverte come un dolore alle spalle, uno stato di contrazione che irrigidisce subdolamente il corpo e annebbia lievemente le idee. Si perde di lucidità e di capacità di ragionare oppure, ad un livello ancora più profondo, si palesano sintomi che impattano sulla digestione o sulle viscere. E’ la paura: ha diversi modi di manifestarsi quando non può essere espressa o risolta. Può coinvolgere sia la muscolatura rigida che quella liscia (le viscere) o generare quel senso di confusione che fa sentire bloccati e vuoti di risorse, esattamente il contrario di quello che alle organizzazioni serve oggi per lavorare in modo flessibile, generare idee e soluzioni creative, collaborare, essere veloci, fluidi e focalizzati, pronti, se serve, a cambiare direzione.
Agire sotto l’effetto della paura, o di quella che il nostro cervello percepisce come minaccia, piuttosto che per desiderio di ricompensa, attiva circuiti neurali del tutto sfavorevoli alla produttività in azienda.. anzi.
Eppure sembra che alcuni vertici aziendali non l’abbiano ancora compreso, o siano rimasti ad un modello manageriale d’altri tempi mentre, proprio in momenti di incertezza, i sistemi necessitano del suo contrario per stare in equilibrio. Giocando invece una partita a base di logiche di potere , svuotano le tasche dell’azienda di cui fanno parte, sottraendo risorse cognitive (intelligenza in tutte le sue differenti forme) ed emotive (passione con tutta la sua forza propulsiva), quelle che possono fare la differenza in termini di impegno e di numeri. E lasciano al loro posto obbedienza, rassegnazione, paura e confusione/rigidità mentale.
La neuroeconomia è una scienza che si avvale di studi in neuroscienze applicati a variabili produttive ed economiche e molti di questi studi tendono ormai a dimostrare il legame tra risultati economici ed engagement.
EFFETTO BROADENING, AMPLIAMENTO
Quando siamo sotto l’effetto di emozioni positive disponiamo di molte risorse: le ricerche confermano che dotati di stati d’animo positivi si dispone di un focus dell’attenzione più ampio che consente di percepire, di un problema o di una situazione, il quadro intero. Al contrario, ansia e paura tendono a far perdere di vista l’insieme e a portare un eccesso di concentrazione su dettagli non sempre collegati all’insieme e non proprio rilevanti.
Lo stato d’animo positivo ha inoltre un’elevata correlazione con la capacità di produrre pattern di pensiero inusuali, inclusivi, creativi e flessibili e predispone ad una migliore ricettività verso le nuove informazioni.
Da questo effetto chiamato “broadening”, ampliamento (Fredrickson 1998), risulta dunque arricchito sia il processo cognitivo in generale che il processo di problem solving, come risultato del potenziamento della capacità di enumerare più ipotesi di soluzione e un range di azioni potenziali maggiore.
Ma non si ferma qui il beneficio: le ricerche, oltre a verificare la relazione con l’area cognitiva, si sono ramificate in ambito sociale e anche in quest’area hanno confermato che, sotto l’influsso della benefica “droga” emotiva, tendiamo a mettere in campo, nelle relazioni, atteggiamenti di disponibilità, apertura, attenzione agli altri e fiducia.
MENO PAURA E PIU’ DOPAMINA, PER PIACERE…
Ricerche in ambito fisiologico associano questo effetto al rilascio di dopamina che favorisce flessibilità cognitiva e curiosità proattiva, dovuti all’azione dello stesso sistema neurologico associato agli effetti positivi della motivazione, in altre parole al “reward system”, o circuito della ricompensa che si attiva alla ricerca del piacere, cioè alla ricerca di quello che noi riteniamo importante per il nostro benessere.
Velocemente, la corteccia orbitofrontale, strettamente collegata al sistema emotivo, motivazionale, valuta la situazione e decide cosa fare in relazione a quanto lo stimolo sia interessante ai propri fini o meno. Si attiva dunque una reazione positiva se si prevede una ricompensa (secondo i personali criteri di ricompensa) o, al contrario, scattano evitamento o difesa se si prevedono o si sente l’odore di punizione o minaccia.
Anche il neuroscienziato Evian Gordon ha studiato e messo a fuoco un meccanismo che regola e organizza le nostre risposte del cervello: minimizzare il pericolo, massimizzare la ricompensa evidenziando i correlati neurali e gli ormoni rilasciati quando si cerca di capire se un nuovo elemento del contesto rappresenta una possibilità di ricompensa o un pericolo.
La risposta a minaccia attiva aree corticali e sottocorticali che sequestrano ossigeno al cervello e glucosio al sangue, distogliendo energie utili alle “funzioni esecutive” a quelle aree dedicate cioè all’elaborazione dell’informazione, alla creatività e al ragionamento logico oltre che alla memoria di lavoro, necessaria ad ottenere performance eccellenti perché necessaria della concentrazione (e viceversa). Cioè senza focalizzazione e attenzione, la memoria di lavoro, necessaria a trattenere le informazioni che servono per svolgere qualsiasi operazione e compito, non funziona.
Il sistema, che si posiziona in uno stato di allerta e di difesa attiva una risposta paragonabile a quando sentiamo dei passi nel buio: aumentano la produzione sia di cortisolo che di adrenalina che a lungo andare producono stress con abbassamento delle difese immunitarie, che significa maggiore esposizione alle malattie.
Eppure ancora in molte aziende persiste un clima che tende più a generare risposta a minaccia che risposta a ricompensa: molti manager o perché sotto pressione o semplicemente perché non conoscono altri modelli di lavoro, sembrano essere, con i propri comportamenti, veri e propri generatori di minaccia, vere macchine da paura e ansia.
Il contrario della paura non è il coraggio, bensì la fiducia che si sviluppa e passa attraverso il circuito della ricompensa: base motivazionale per l’attivazione piena delle proprie risorse.
IL LAVORO PROFESSIONALE
Scrive Giorgia in un post: il lavoro professionale non è defunto e tutti noi sentiamo l’esigenza di poterlo esercitare, abbiamo lavorato tanto per costruirci e costruire professionalità e poi il contesto, che ha una fortissima influenza sul comportamento del singolo, favorisce il pressapochismo e furbizia.
In molti momenti della vita aziendale si ha occasione di decidere sia come organizzazione che come manager se, all’interno della nostra sfera di influenza, motivare ai risultati o saccheggiare risorse agendo la leva della paura. La responsabilità è del singolo, qualunque livello di potere e di influenza si gestisca. Anche quello del centralino nei confronti dei clienti!
Decidiamo se per Natale vogliamo diventare generatori di fiducia o di paure.