Questo post è apparso sulla rivista Direzione del Personale – AIDP – nel 2020.
Dal pericolo condiviso le aziende possono costruire una nuova alleanza, basata sulla sfida condivisa del coraggio, per riconnettersi e riconnettere le proprie persone al senso organizzativo. C’è bisogno di fidarsi reciprocamente, di una comunicazione aperta e onesta, di far sentire le persone incluse, connesse, importanti per il loro contributo e orgogliose di far parte della propria organizzazione.
Di ispirare senso di unità, rassicurare, esprimere empatia e cura.
Ed ecco arrivato il cigno nero: per anni ci siamo preoccupati della qualunque, abbiamo avuto paura delle crisi economiche, climatiche, dei terremoti, delle polveri sottili, della calura estiva, dell’Amazzonia in fiamme, dell’invasione dei disperati della terra e anche dell’invasione delle cavallette. Ci siamo preoccupati del troppo o del poco lavoro e anche di cambiare lavoro, delle calorie ingerite, dei troppi carboidrati e delle troppe proteine e anche del glutine. Ci stavamo preparando a tutto, ci hanno insegnato ad essere previdenti, guardinghi e timorosi, a navigare tra le sicurezze e a costruirne sempre di più solide, talvolta pagando anche a caro prezzo la solidità di base.
E ora siamo tutti, ma proprio tutti, su una barca che appare essere senza timoniere.
Ad oggi, fine aprile, sembra che di questo virus nessuno abbia ancora capito niente e che le certezze di oggi saranno smentite in meno di 24 ore. La sensazione non è affatto piacevole e in più siamo tutti in casa isolati, collegati tra noi da video, ci troviamo impreparati, con sfondi impreparati e con abbigliamenti, facce, barbe e capelli sempre più fuori posto. Ci piaceva la videoconferenza, oggi non ne possiamo già più.
La paura, la percezione di fragilità e di scarso controllo della situazione, se non gestite, possono esacerbare conflitti, portare alla luce pretese, accrescere la tendenza a comportamenti scorretti, rivendicazioni o atteggiamenti infantili.
In questo momento l’azienda, con le misure adottate, può offrire una sponda alle paure emergenti o, al contrario, sollecitare fantasmi nei propri dipendenti. Parlare di engagement ai tempi del Coronavirus non è facile. Si rischia di inciampare nel banale e di suggerire misure che le aziende stanno già mettendo in atto. Le aziende, quelle meglio attrezzate, avevano già disposto un meccanismo perfetto per lo Smart Working, ma anche queste stanno accusando il colpo, dopo 8 settimane di Smart Working, così “smart”, il “work”, non lo è più.
Per parlare di engagement bisognerebbe sapere di cosa le aziende e le persone hanno più bisogno in questo momento e che cosa hanno più probabilità di raggiungere stando unite. Per molte aziende si tratta di poter garantire un futuro a se stesse e alle proprie persone. Per altre, si tratta di cambiare tutto: piccole aziende, meravigliose realtà italiane cercano di rifare tutto per poter riaprire e produrre, dipendendo, a propria volta, da altre filiere produttive che non saranno attive ancora per molto tempo.
E allora, come creare engagement in un momento in cui nessuno ha certezze?
Mi rivolgo alle neuroscienze per capire come funziona il nostro cervello in momenti di instabilità: non ama l’instabilità, la teme, il nostro cervello meraviglioso non ama cambiare inaspettatamente, si attiva subito con sistemi di allerta che diventano tanto più potenti quando percepiscono la minaccia avvicinarsi. E in questo momento è molto vicina, una minaccia per la salute ma anche una potente minaccia economica. E due fattori così importanti per la stabilità, insieme, hanno un effetto moltiplicatore.
Sotto le più ottimistiche letture della situazione naviga un fiume sotterraneo fatto di inquietudine e paura. Eppure, al tempo stesso, sembra di scorgere, neanche tanto in profondità, un altro fiume sotterraneo, quello della segreta speranza che si colga questo evento inaspettato come occasione per raddrizzare quello che si era già troppo stortato, e che era diventato fonte di preoccupazione, per molti, da tempo. La speranza, ad esempio, di rimettere a posto un po’ di questioni di equità sociale, di riordinare l’ambiente, di porre un freno ad una vita di corsa, di avere relazioni degne di questo nome, di ripristinare il tempo per la riflessione e ancora molto altro.
Siamo esseri che si realizzano socialmente, nel contatto con l’altro essere umano, possibilmente in carne ed ossa. Siamo esseri fragili nella paura di perdere la stabilità, nella minaccia alla sicurezza. Siamo, in questa situazione, tutti insieme, qualcuno con più timone in mano, qualcuno con meno timone. Qualcuno con più orizzonte visibile, qualcuno con meno.
Cosa possono fare le aziende in questo momento per ingaggiare veramente le persone?
Forse, in questo momento, attraverso la percezione condivisa del pericolo e la sfida condivisa del coraggio si può costruire alleanza, ingaggio reciproco. Ed è forse l’occasione per riconnettersi e riconnettere le proprie persone al “purpose” organizzativo, al senso per cui l’organizzazione esiste e desidera impattare sul mondo. Quel purpose che Sinek indica con la domanda “perché esistiamo”? Engagement, in questo momento, è anche mantenere una comunicazione aperta e onesta con i propri dipendenti: nessuno sa veramente come andrà, ma c’è bisogno di potersi fidare reciprocamente, di una comunicazione empatica, che sia un mezzo attraverso cui comprendere insieme, con la propria organizzazione, più di quello che si comprenderebbe da soli, nel proprio isolamento.
Una cliente mi ha detto, “sarei orgogliosa se la mia azienda in questo momento mettesse veramente in pratica la Corporate Social Responsibility, se facesse qualcosa di forte per la collettività, in questo momento, mi sentirei orgogliosa di farne parte”. Sentire di essere parte di un’Azienda che contribuisce alla collettività fornisce al cervello un reward, una ricompensa: ci piace sentire di appartenere ad un’organizzazione che, anche se avverte l’incertezza, mantiene il timone in una direzione costruttiva, che ha una visione e un’azione più ampia di quella propria, che sa connettere forze insieme e traghettarle verso qualcosa che ha un impatto positivo sulla società e che realizza il suo senso.
Quello che le ricerche in campo neuroscientifico hanno portato alla luce in questi anni è che ci sono alcuni driver neurali in grado di attenuare gli effetti deleteri della paura e di spingere l’acceleratore della fiducia, di alimentare l’ossitocina, ingrediente essenziale di ogni proficua collaborazione. Tra i driver più influenti al fine di alimentare engagement ci sono autonomia e controllo, percepire cioè di poter avere una mano sul timone della propria barca, il sentirsi inclusi e socialmente connessi, essere un contributo per la collettività e orgogliosi di far parte della propria organizzazione.
L’importanza della comunicazione per costruire un senso di fiducia
Un vuoto comunicativo da parte dell’azienda aumenterebbe il senso di smarrimento e di angoscia. È ora importante mettere in campo azioni che favoriscano la comprensione della situazione, di quello che sta avvenendo a livello globale, locale e anche aziendale. Comunicare spesso e bene e dare continuità alle informazioni condivise, cadenzandole in modo regolare. Richiamare e rinforzare i valori organizzativi aiuta inoltre a condividere uno scopo. Empatia e cura. Fare percepire la presenza dell’Azienda attraverso la voce delle sue massime cariche. I Responsabili possono parlare alle persone, anche con una certa regolarità, attraverso video, lettere o altro. Dare messaggi che ispirino condivisione, senso di unità, in sintonia con le emozioni disorientate delle persone. Cura, rassicurazione, obiettivi o rotte diverse che si stanno configurando all’orizzonte e soprattutto riconnessione con il proprio purpose, occasione per rinforzare la propria mission, il proprio “perché esistiamo”.
Supportare la gestione delle emozioni e la ricerca di senso, magari attraverso speech di psicologi, filosofi, sociologi che aiutino ad esplicitare l’implicito. Aiutare le persone a dare un nome ai propri stati mentali ed emotivi. Trovare l’implicito e trasformarlo in esplicito. Sono molti i dubbi, le paure, le domande che le persone si fanno in questo momento di cui non sono consapevoli o a cui non danno voce. Aiutare le persone ad esplicitare i propri dubbi, anche anticipandoli, fornisce l’occasione per ridefinire alcune convinzioni negative sottostanti.
Connettersi socialmente, coltivare relazioni e senso di appartenenza
Il senso di isolamento sociale è percepito da ciascuno in modo diverso, tuttavia le relazioni umane sono un reward primario e le connessioni sociali un’esigenza legata alla sopravvivenza. Ci possono essere due diversi percorsi per raggiungere questo obiettivo, uno più indiretto e uno più diretto.
La strada più indiretta è quella di costruire coesione e connessione attraverso obiettivi condivisi: definire obiettivi, esplicitarli, fare in modo che si costruisca coesione attorno al loro raggiungimento riduce la paura, rinforza il senso di appartenenza e di inclusione, attiva risorse cognitive. La strada più diretta: favorire video meeting, momenti fissi, appuntamenti cadenzati condivisi, il caffè del mattino, la pausa, un aperitivo a fine giornata. A ciascuno di questi momenti si può attribuire una finalità: scambio di informazioni, condivisione di idee, giochi a premi, raccolta di opinioni con strumenti di condivisione. Trovare strade creative per far incontrare le persone tra loro, magari chiedendo suggerimento proprio a loro.
Accrescere il senso di controllo con la partecipazione attiva all’innovazione
Spostare l’attenzione delle persone su ciò che possono controllare è come ridar loro in mano il volante. Dare quindi, dove possibile, l’opzione di fare scelte autonome. Si può guidare l’engagement attraverso l’innovazione cioè cogliere questo momento per coinvolgere le persone in un processo di innovazione, responsabilizzando ciascuno di un proprio pezzo.
Percepire l’importanza del proprio contributo ed essere orgogliosi di far parte della propria azienda Collegare gli obiettivi aziendali al contributo di ciascuno: far sapere a ciascuno che è importante per il raggiungimento del risultato fornendo riconoscimenti su misura. La Corporate Social Responsibility è anche far sentire alle persone di appartenere ad un’azienda che sta contribuendo al bene della collettività e dar modo ai singoli di sentirsi un contributo per un fine che abbia un impatto sulla collettività. Sollecitare infine il coraggio, il proprio e quello delle proprie persone, è un modo per guardare insieme la paura e gettare il cuore oltre l’ostacolo, insieme.